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Settecentenario dantesco: Dante e i Malaspina
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Settecentenario dantesco: Dante e i Malaspina

La Val Di Magra fu abitata dai Liguri-Apuani, razza celta  rude e fiera, che ancor oggi pare arroccata sulle fondamenta di tradizioni antiche, quasi pagane, che riaffiorano andando di castella in castella, di borgo in borgo. 

 

 

Chi ci transitava nel Duecento e Trecento doveva però pagare pegno, ovvero le gabelle alla Chiesa di Luni o ai  Marchesi Malaspina.  Questi avevano castelli appollaiati su ogni vetta costeggiante il fiume Magra e non vedevano di buon occhio quello che il vescovo di Luni si era costruito sopra la sua foce. Enrico da Fucecchio, per esempio, aveva chiari i diritti territoriali della Chiesa e non passava giorno che non ci fossero schermaglie armate con i marchesi, altrettanto arditi e bellicosi. I Malaspina tentarono una volta di addomesticare il vescovo con una ambasceria di tre famigli: Enrico gli fece tagliare la testa senza nemmeno stare a sentirli. Fare da messaggeri in quei tempi non era molto salutare, ma nel 1306 ci riprovò Dante Alighieri per fare un piacere a Moroello Malaspina. Meno male che era vescovo il più accomodante e caritatevole Alberto dei Camilla.

Chi erano i Malaspina che furono i primi Signori a ospitare il Poeta  in veste diplomatica? Discendenti della prestigiosa dinastia franca Obertenghi, per ribadire la loro influenza sul territorio, hanno lasciato almeno 150 castelli a giro per la provincia di Massa-Carrara, praticamente loro feudo fino all’ arrivo di Napoleone.

Questa potente famiglia nel 1200 si divise in due rami : Spino Secco e Spino Fiorito, che si spartirono il territorio a  destra e a sinistra del fiume Magra. Il prolifico albero genealogico si trova in una delle loro più raffinate dimore: il castello di Carrara, ma precedentemente la loro sede principesca fu Fosdinovo, ovvero un gioiello di borgo murato, un tempo detto “Città Imperiale”.   Da un imponente portale protetto un tempo dal ponte levatoio,  si entra nella fortezza innalzata a dominio e difesa del paese: “assemblata” in tre tempi diversi, il primo risale al XII secolo con il Cassero eretto dai nobili d’Erberia che poi lo cedettero  nel 1340 a Spinetta Malaspina, ufficiale creatore del Marchesato di Fosdinovo, il quale eresse la Rocca, via via ingrandita. Si hanno quindi la torre del medioevo, le logge del XVI secolo e il palazzo recente che testimoniano il padrone feudale, il cavaliere rinascimentale e il marchese gentile che abolì le leggi feudali. L’ultimo marchese infatti, Carlo Emanuele, era dedito alla caccia e amante del teatro, ma la storia del castello, per quanto ingentilito dallo stemma del Ramo Fiorito, parla più di centro politico e militare che di vita socio-mondana.  Anche di potere dispotico, alleanze strategiche, discordie familiari e, appunto con i vescovi di Luni.

Castello di Fosdinovo - affresco salone centrale

Fra i tanti cimeli di famiglia in esposizione al castello si trova anche la “culla” degli eredi del feudo: una gabbia di ferro con lucchetto in cui veniva chiuso il neonato appena vagiva in questo mondo, proprio per essere sicuri che non ci fossero sostituzioni. Comunque i Marchesi di Fosdinovo avevano il privilegio di legittimare bastardi, oltre a quello di  laureare dottori, battere moneta e condannare a morte. Negli interessanti Statuti di famiglia erano condannati a morte l’omicida, il violentatore di donne e il ladro, spediti all’altro mondo con l’impiccagione pubblica fuori le mura. Inoltre chi con l’incendio procurava danni ingenti, era arso vivo, il bestemmiatore veniva messo alla berlina con la lingua inchiodata per tre ore, addirittura chi offendeva i genitori veniva rinchiuso nei sotterranei del castello a discrezione del marchese. Oggi ci sarebbe un superaffollamento.  La tortura a scopo di ammonizione era spettacolo pubblico: o penzoloni da una corda a 8 m dalla strada o legati con le mani dietro le spalle all’inferriata di una casa, con un morso da cavallo in bocca.  Le torture più fantasiose erano invece amministrate dentro il castello nelle varie segrete culminanti nella Sala delle Torture, tutt’oggi visitabile come la sovrastante Camera del Trabocchetto, con tanto di botola, a cui si riconducono piccanti leggende.   Il recente ritrovamento in un anfratto delle mura di ossa umane femminili e di due animali ha poi ravvivato quella di Bianca Maria Aloisia Malaspina, murata viva con un cane, simbolo di fedeltà, e un cinghiale, simbolo di ribellione. Tale infelice visse davvero a metà del XIII secolo, quando i figli erano proprietà dei genitori e non erano tollerate insubordinazioni.  Bianca Maria ebbe la perniciosa  idea di innamorarsi di uno scudiero e, in prima battuta, questo fu fatto sparire e lei fu fatta entrare in convento. Decisamente priva di vocazione, la ragazza scappò, ma fu ripresa e l’onta all’onore familiare poteva essere cancellata solo dalla morte. C’è chi dice che morì di stenti dopo essere stata confinata in una segreta a pane e acqua, ma la storia dei due animali murati vivi con lei era più appetibile  da divulgare, in più con l’appendice di apparizioni spettrali sugli spalti del castello, per gli amanti del mistero.  Questo quindi è dotato di fantasma, di una vasta armeria, di una lunga teoria di sale arredate culminanti in quella del Trono e nella cosiddetta Camera di Dante, raffigurato anche in un ciclo di affreschi nella austera e suggestiva Sala a lui dedicata.Dante quindi fu in Lunigiana, già esiliato da Firenze, ma chiamato da Moroello e Franceschino  Malaspina a fare da procuratore  incaricato di mettere pace fra questa nobile famiglia e il Vescovo di Luni, circa annose controversie per il predominio su alcuni castelli della zona,  fatto documentato dalla Pace di Castelnuovo nel 1306.

I Malaspina erano ghibellini fin nel midollo e Dante, pur guelfo, ce l’aveva a morte con Bonifacio VIII che aveva ordito la sua condanna all’esilio. Si capisce perché i primi ospitarono il Poeta agli inizi del suo girovagare di Corte in Corte e il secondo li trattò abbastanza bene nel suo Poema.   Franceschino era cugino del Corrado che parla con Dante nella valletta dell’anti Purgatorio descritta nel Canto VIII, il quale fu nipote di Corrado  l’Antico, capostipite dei Malaspina, anche lui citato nella Divina Commedia. Un modo indiretto per  ringraziare  appunto Franceschino che successe nel feudo al padre Moroello I nel 1285 e col fratello ospitò Dante.  Ma non nel grandioso castello di Fosdinovo, nonostante l’immaginifico Gabriele D’annunzio ne avvertisse la presenza in loco e ipotizzasse l’ispirazione infernale giusto in questa  “austera e fiera Lunigiana che ha forse le più belle montagne della Terra: mi piace pensare che Dante ospite dei Malaspina avesse la visione della città di Dite guardando le Alpi Apuane soffocate dal sole occiduo, vermiglie, come se di foco uscire fossero…. E degno rifugio di Dante quel castello di Fosdinovo “su l’altura ventosa, con le sue torri rotonde, con i suoi spalti invasi dall’erbe selvatiche, con le sue gradinate, con i suoi androni, con le sue corti di fosca pietra, con tutta quella sua ferrigna ossatura guerresca che i secoli non hanno incurvata.”

Franceschino infatti era Marchese di Mulazzo, altro borgo fondamentale nel pellegrinaggio dei castelli della provincia nonché dei possedimenti Malaspina, di cui Mulazzo divenne sede imperiale nel 1164.  Dal 1221 divenne la capitale del ramo dello Spino Secco inaugurato da Corrado l’Antico :In effetti il posto è dominante e strategico, visto che le case di Mulazzo si protendono come un girone fino alla vetta dello scosceso poggio, e arrivarci è una sfida anche per gli amanti delle salite ripide.  Fino a pochi anni fa conduceva all’abitato un tortuoso sentiero fra scure casupole ombreggiate da olivi fino ad una porta diroccata, da cui partiva un vicolo lastricato diretto a una spianata dove s’alzava la gran torre.  Accanto a questa, mozzata e rivestita d’edera ed erbe selvatiche, sorgeva la “Casa di Dante”, più tugurio che casa,  con muri a secco e senza intonaco, con un paio di finestrelle strette e una porta bassa. Un “falso “storico come la casa di Dante a Firenze o quella di Boccaccio a Certaldo o quella di Giulietta a Verona etc ? Comunque sia, sul fianco della torre diroccata è murata una lapide in pietra serena che attesta “ Posò su quest’ermi sassi un’orma di Dante, ma più di essi il Popolo di Val di Magra la serbò nel cuore, onde ancor oggi la grida”.   I ruderi del castello e delle fortificazioni risalgono  appunto a Corrado Malaspina, primo Marchese di Mulazzo e Signore di metà Lunigiana.

Prode guerriero devoto all’Imperatore, ma anche generoso e umano, si merita di scambiare due parole con Dante nel Purgatorio, anche se a ospitarlo fu suo figlio Franceschino, oculato amministratore e dispensatore di giustizia.  Magari un tantino drastico  nella descrizione delle pene per chi deviava dalla retta via o dalle sue leggi. Per esempio, chi attentava alla vita del Marchese si aggiudicava il seguente supplizio “ Sia trascinato alla coda dell’asino sino al luogo della giustizia, et così trascinandolo gli sia cavato pezzi della carne colle tanaglie et rasori, et nel luogo della giustizia gli sia tagliato le mani ambe et piedi, lingua et naso, et poi sia appiccato per la gola talmente che mora”. Non si sa quanti arrivassero vivi all’impiccagione, di sicuro non ci furono molti attentati ai Malaspina e non ci sono fantasmi nei Malaspina Spino Secco di Mulazzo, né casi di figlie murate vive, anzi c’è memoria di una “Gran Dama, sì vezzosa sì gentil, si cangi in rosa,l’adorabile Malaspina sia dei fiori la regina”. Trattasi di Anna della Bastia sposata giovanissima a Giovanni Malaspina, la più bella donna lunigianese dai “neri occhi lucenti”, che ebbe la devozione ammirata e una pioggia di rime  da parte di sudditi, nobili, cortigiani, abati e perfino Vincenzo Monti, che per lei scrisse in versi sciolti la dedica dell’Aminta in una ristampa del Tasso.  A proposito del Monti, ebbe anche pensieri danteschi per Mulazzo dove….”Risuonò il castello dei canti divini, e il nome ancora del sublime cantor serba la terra”. Ma perché Dante non alloggiò nei saloni di Franceschino invece di essere confinato in una umile casuccia di pochi comforts? In effetti è più probabile che Dante fosse ospitato nella residenza del Marchese, tuttavia la casetta  poteva essere un gradito rifugio per stare lontano dal chiasso di corte o da commenti umilianti. Fra l’altro da quella vetta si poteva godere l’incantevole panorama della vallata e ci si poteva concentrare a scrivere in pace. La tradizione vuole che proprio a Mulazzo abbia cominciato l’VIII canto, perché Boccaccio riprese la tradizione del suo tempo, per cui un nipote di Dante, rovistando in un forziere, trovò i primi sette canti della Divina Commedia. Questi furono quindi mandati a Dante in Lunigiana, con preghiera ai Malaspina  di indurre l’ ospite  a continuare l’opera. Comunque sia, Mulazzo vive di memorie dantesche, gli antichi edifici sono stati restaurati e la cosiddetta Casa di Dante è oggi un museo con una pregevole raccolta di disegni dell’Inferno e tutte le informazioni  sulla presenza del Poeta in Lunigiana.  Una buona ragione per visitare questi antichi borghi nel settecentenario della morte di Dante,  letterato eccelso pratico anche di affari pubblici, abituato a discutere con i potenti, tanto da arrivare pure al cospetto della “somma Deitade che sola sé compiutamente vede”.   

                                          

  Margherita Calderoni  

Proconsole UK per Fiorentini nel Mondo 

 

 

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