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Il tumulto dei Ciompi, la rivoluzione fiorentina
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Il tumulto dei Ciompi, la rivoluzione fiorentina

A quel tempo, la gerarchia politico-sociale era costituita da un Popolo grasso, ovvero le ricche Arti Maggiori; un Popolo minuto, le borghesi Arti Minori; un Popolo magro, proletariato bracciantile, operai e commercianti minori collassati dalla crisi economica causata dalla Peste nera, nella seconda metà del Trecento. I Ciompi, il cui nome derivava dalla corruzione del termine francese compère - compagno o camerata - erano lavoratori salariati della lana ed appartenevano ad uno dei gradini più bassi della scala sociale.

 

Avevano come luogo di ritrovo la chiesa di Santa Maria dei Battilani in Via delle Ruote ed erano privi di rappresentanza nel sistema corporativo delle Arti e dei Mestieri e, pertanto, non godevano di alcuna attenzione politica e venivano pagati in quantità appena utile alla sopravvivenza, con una sottodivisione del fiorino che guarda caso era di rame perciò con la svalutazione dello stesso sarà all'origine della loro sommossa: nel 1378 essi accamparono il diritto di associazione e di presenza comunale, e si posero fra i primi esempi di reazione economica del Medio Evo.

Tutto cominciò con lotte fra la fazione aristocratica borghese del Magistrato guelfo Pietro degli Albizzi, di Lapo di Castiglionchio e di Carlo Strozzi e la borghese capeggiata dai Ricci, degli Alberti, dei Medici, di Giorgio Scali e di Tommaso Strozzi colpiti nel 1372 dall’Ammonire: la legge, emanata nel  1347 ma inasprita nel 1358, condannava i ghibellini all’interdizione perpetua dalle cariche pubbliche, accentuando l’arroganza dei Capitani guelfi ed instaurando una politica sopraffazione, dopo tanti secoli la nobiltà viene messa all'angolo. I primi sintomi di rinnovato malessere si manifestarono il 18 giugno del 1378 quando d'intesa con Alberti, Strozzi e Scali, il Gonfaloniere di Giustizia Silvestro dei Medici, bisnonno di Lorenzo ed anche lui manovratore della politica rimanendo al coperto, convoca il Collegio delle Compagnie e il Consiglio del Popolo proponendo la rimessa in vigore per un anno degli ordinamenti giudiziari contro i Grandi (i nobili), la diminuzione dell’autorità dei Capitani ed il reintegro degli Ammoniti nei loro uffici. Ma, a fronte dell’opposizione alle richieste, espressa la impossibilità a provvedere al pubblico benessere per l'ostracismo della Signoria, egli preferì dimettersi dall’incarico.

Le sue dichiarazioni, tuttavia, allarmeranno il Consiglio del Popolo fino a rendere necessaria la presenza dei Priori, i quali sentendosi in pericolo minacciarono di morte i sostenitori degli Albizzi mentre Benedetto Alberti dalla finestra eccitava la gente al grido di Viva il popolo! Le botteghe si chiusero, la piazza si armò e la pericolosità degli eventi portò all’approvazione delle pretese avanzate da Silvestro. Il positivo risultato, però, produrrà altre rivendicazioni; rimetteà in gioco la rivalità tra le Arti Maggiori e le Arti Minori; rilancerà il disagio degli Artigiani, subordinati alle prepotenze delle "arti Maggiori". Il 20 giugno le Corporazioni si riunirono e procedettero all’elezioni dei Sindaci per poi recarsi, munite di armi e bandiere, in piazza della Signoria dove otterranno la nomina di una Balìa di ottanta cittadini con facoltà di presentare riforme. Mentre se ne selezionavano gli esponenti, alcuni membri delle Arti Minori con nutriti gruppi di contadini saccheggiarono ed incendiarono le abitazioni di Lapo da Castiglionchio, degli Albizzi, dei Bondelmonti, dei Pazzi, di Cario Strozzi, di Migliore Guadagni.

II 21 giugno, disorientata dai violenti incidenti del giorno avanti, la Balìa approvò importanti concessioni a favore del Popolo; revocò una serie di disposizioni riferite all’autorità dei Capitani ed emanò un’amnistia agli Ammoniti, limitandone l’esclusione dalle pubbliche funzioni ad un solo triennio. Ripristinata la pace, vennero eletti i Priori ed il nuovo Gonfaloniere, nella persona di Luigi Guicciardini: entrata in carica il 1° luglio, la Signorìa ordinerà ai cittadini di deporre le armi, allontanò i protagonisti delle turbolenze dei giorni precedenti e poi assunse una serie di iniziative a garanzia della sicurezza pubblica. Ma, malgrado le apparenze, gli animi erano ancora accesi, nessuno rispettò il disarmo e gli Ammoniti protesteranno contro l’insufficienza dell'amnistia. Le Corporazioni, pertanto, si riunirono nuovamente l’11 luglio ottenendo che: chi, dopo il 1320, ha avuto una carica sociale di rilievo, non potrà essere ammonito e, se lo è già stato, verrà reimmesso nel suo diritto; il Capitanato di parte guelfa verrà sottratta alla fazione fino ad allora titolare; e verranno imborsati i nomi dei futuri Capitani.

In definitiva, dai vantaggi resterà escluso il solo Popolo minuto i cui esponenti, temono d’essere puniti per l’adesione alla ribellione. Impauriti dalle conseguenze dei saccheggi cui hanno partecipato ed aizzati da Simoncino Bugigatti, Paolo della Bodda, Lorenzo Riccomanni, organizzarono un piano segreto di difesa contro i provvedimenti della Signorìa che, scoperto il complotto, ordinerà l’arresto e la tortura del Bugigatti e di tre compagni. Lo scontro sarà inevitabile, inizia la rivolta dei Ciompi. Il 20 luglio del 1378, al suono delle campane delle chiese, essi si armarono, bruciarono la casa del Gonfaloniere di Giustizia, ne asportarono il drappo. Con questo scatto d'ira i Ciompi otterranno la liberazione dei tre detenuti e il giorno dopo assaltarono il Palazzo del Podestà ed invieranno un duro ultimatum alle Istituzioni cittadine, dettando degli ultimatum con condizioni severe: abolizione del Giudice straniero dell'Arte della lana, creazione di tre nuove Corporazioni dei Mestieri, concessione al Popolo della quarta parte delle cariche pubbliche, compreso il Gonfalonierato di Giustizia, sospensione per un biennio dei giudizi per debiti inferiori ai cinquanta fiorini e per finire la limitazione del potere dei Capitani. La Signoria accolse le istanze e il Consiglio del Popolo le approverà in attesa della ratifica del Consiglio comunale che, per legge, può essere riunito solo nel giorno successivo. I Ciompi attenderanno, ma pretesero che le chiavi delle porte cittadine vengano consegnate ai Sindaci delle Arti e che i Priori licenzino  le milizie impegnate sulla piazza.

Il 22 luglio, mentre l’assise comunale si accinge a pronunciarsi sulle richieste, i Ciompi intimano alla Signorìa di abbandonare il palazzo: Tommaso Strozzi e Benedetto Alberti obbligano i Priori ad uscire minacciando, in caso di resistenza, il massacro delle loro famiglie. L’accoglimento delle pretese susciterà un’ondata di trionfalismo, enfatizzata dalla esibizione del gonfalone di giustizia  da parte del giovane "Michele di Lando", cane da guardia di una fabbrica della lana che tradirà gli stessi Ciompi portando il movimento alla disfatta. Acclamato Gonfaloniere, egli si incaricherà anche di riformare la Signoria, tuttavia saggiamente accettò solo il primo onere e, insediato, vietò ogni ricorso alla violenza, creò le tre nuove arti dell'Agnolo, dei Cardatori e dei Farsettaie, in onore ai patti, elesse nella metà della nuova Signoria i designati del Popolo.

Il 24 luglio i neoeletti occuparono gli uffici e garantirono alla città la rimozione di tutti i vecchi rancori; richiameranno gli esuli, condonando le pene per i fatti avvenuti; dividono i ruoli in parti uguali fra le Arti Maggiori e Minori e quelli recenti istituite dai Ciompi che, da quel momento, contando su Magistrati scelti dal proprio gruppo e, a tutela dei loro interessi, siederanno nei Consigli della Repubblica. A conferma della generale pacificazione, nella Messa celebrata il 3 agosto in San Giovanni, presente la Signoria, l’interdetto ecclesiastico decade. Persuasi del buon esito della rivoluzione e del miglioramento delle loro condizioni economiche e politiche, i Ciompi si ritrovano, invece, privi di lavoro e reddito: a causa dei tumulti, le fabbriche sono chiuse, ma certamente è una ritorsione dei ricchi verso gli operai per averli sfidati. La conseguenza sarà un altissimo livello di disoccupazione e nuove rivolte.

Il 27 agosto i Ciompi si riunirono in piazza San Marco, in Santa Maria Novella ed una terza la più numerosa davanti al Palazzo della Signorìa degenerando in scontri brutali: l’esame delle nuove proteste sarà affidato ad i nuovi Priori, i quali per legge entreranno in carica solo il successivo 1° settembre. Il 31 agosto al Gonfaloniere Michele di Lando viene accusato, dai Ciompi, del disinteresse mostrato riguardo  le difficoltà economiche di quanti lo hanno eletto e gli sarà duramente ingiunto di andarsene; Michele non volendo irritare i suoi veri padroni, il popolo Grasso, estrasse la spada ed assalirà i portavoce dei Ciompi, arrivati disarmati. Feriti, vengono arrestati, e prendendo tutti alla sprovvista Michele di Lando scende in piazza e, raccolta al grido di libertà una schiera di armati, aggredisce e disperde i Ciompi che, sconfitti da quello che credono uno di loro perdono tutte le posizioni conquistate.

Il 1° settembre, infatti, la nuova Signoria escluderà i membri popolari dal Governo e scioglie una delle tre nuove Arti avvantaggiando la piccola Borghesia di Silvestro dei Medici, Benedetto Alberti, Giorgio Scali e Tommaso Strozzi. Iniziando cosi la potenza di queste famiglie. La pace muore come  le speranze di vita migliore ed i Ciompi stanchi delle continue prepotenze dello Strozzi e dello Scali, assalgono il palazzo del Capitano del Popolo (Bargello) e liberarono un compagno arrestato mesi prima. Troppo tardi per Tommaso Strozzi fuggirà a Mantova, lo Scali, invece, sarà decapitato ed il suo corpo squartato portato come trofeo per le strade cittadine.

Il 21 gennaio,  la fazione degli Albizzi occupa  la piazza, ed istituirà una Balìa di centotrè cittadini a cui sarà dato il compito di riformare l’Esecutivo. Prevalse, naturalmente, l’odio che cancellò ogni elemento rivoluzionario, le due Arti di recente istituzione vennero cancellate e viene stabilito che dal 1° marzo il Gonfaloniere di Giustizia sarà selezionato fra le Arti Maggiori e le Arti Minori, verranno annullate le sentenze di Ammonizione, ed avviando una dura persecuzione degli avversari politici e comminando molte pene capitali, verrà esiliato Silvestro de' Medici a Modena per cinque anni e Michele di Lando a Chioggia e poi a Padova, in seguito passati i guai si trasferirà a Siena dove comprerà una manifattura che produce lana. Ironia dei traditori, diventare padrone di coloro i quali si era unito e diventarne il capo e proteggerne gli interessi. La rivoluzione è sostanzialmente fallita e, come scriverà Filippo Villani: "i Ciompi se ne andarono sì come gente rotta, et senza capo et sentimento, perché si fidavano et furono traditi da loro medesimi" mentre la dominazione del Popolo grasso sarà di fatto restaurata.



I simboli di Firenze e dei Fiorentini

 

 

 

Autore

Julius Ebnoether

 

 

 

 

 

 

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