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Donatello, Brunelleschi e i crocifissi fiorentini
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Donatello, Brunelleschi e i crocifissi fiorentini

Nei libri di storia, si tende a far coincidere la data di inizio del Rinascimento con il 1492, anno della scoperta dell’America. Ma si può, a Firenze, accettare questa data come univoca? A Firenze, quando si parla di Rinascimento, dal punto di vista artistico, si tende a farlo coincidere con il  famoso concorso del 1401 indetto per la realizzazione della seconda porta del Battistero di San Giovanni.


Sempre a Firenze, quando si parla di Rinascimento dal punto di vista socio-culturale si tende ad identificare il terribile evento della peste nera del 1348, come evento generatore di un nuovo modo di intendere la vita. Date a parte, di una cosa si può essere concordi: i tre artisti che vengono universalmente indicati  come gli esponenti del nuovo modo di fare arte sono Donatello in scultura, Brunelleschi in architettura e Masaccio in pittura. Si racconta che nel 1402 Brunelleschi, deluso dall’esito del concorso per la porta del Battistero che vide come vincitore Lorenzo Ghiberti, decise di vendere alcune delle sue proprietà immobiliari e di recarsi, insieme con l’amico Donatello, a Roma. Il soggiorno romano permise ad entrambi di  osservare da vicino e studiare “l’antico”: architetture, statue, colonne, cammei. Spesso li si vedeva addirittura scavare nel terreno per far riaffiorare reperti archeologici sepolti, tanto che a Roma venivano chiamati “quelli del tesoro”.

L’aneddoto dei crocefissi risale probabilmente al ritorno dei due artisti a Firenze. Grosso modo nel 1406 Donatello realizzò il Crocifisso che è conservato in Santa Croce nella Cappella Bardi di Vernio. Questo Crocefisso venne duramente criticato da Brunelleschi, per il suo eccessivo naturalismo. Brunelleschi disse all’amico di  aver realizzato un Cristo con le sembianze di un contadino, mancante della perfezione  nelle proporzioni dovute ad un soggetto sacro e solenne. Il Cristo di Donatello, sottolinea la sofferenza e l’umanità del soggetto: il corpo in una posa sgraziata è sofferente, l'agonia dell’Uomo è sottolineata dai lineamenti contratti, la bocca dischiusa, gli occhi semiaperti. Donatello sfida allora Brunelleschi a far di meglio!

Del 1410 Bruenelleschi realizzò dunque il Crocefisso che oggi è conservato nella Cappella Gondi di Santa Maria Novella, donato dallo stesso Brunelleschi ai domenicani un anno prima della sua morte. Il Cristo si caratterizza per un attento studio dell'anatomia e delle proporzioni, ispirato a quelle misure perfette che si possono far risalire addirittura al Doriforo di Policleto: un corpo perfetto nel suo insieme dove ogni singola parte sta al tutto come avverrebbe in un corpo umano idealmente perfetto, dove la perfezione matematica delle forme è eco della perfezione divina del soggetto; le braccia aperte misurano quanto l'altezza della figura, il filo del naso sul volto punta al baricentro dell'ombelico. La torsione appena accennata del corpo verso sinistra, quindi non più posto nella posizione canonica giottesca, crea più punti di vista e porta  ad un’analisi, ad una visione, ad un’osservazione semicircolare dell’opera.

La storia, o forse la leggenda, vuole che Brunelleschi invitò Donatello a casa sua e che quest’ultimo recasse con sé in grembo delle uova. Appena entrato, Donatello vide il Crocifisso: tanta fu la meraviglia che allargò le braccia facendo cadere a terra il pranzo. Il rapporto tra Donatello e Brunelleschi fu un rapporto molto complesso: inizialmente improntato ad una profonda amicizia, si caratterizzò successivamente  per i  litigi e  le controversie derivanti dalla realizzazione della Sacrestia Vecchia di San Lorenzo.

 

Il racconto della vicenda riportato da Vasari


Fece - Donatello - con straordinaria fatica un crucifisso di legno, il quale quando ebbe finito, parendogli aver fatto una cosa rarissima, lo mostrò a Filippo di ser Brunellesco suo amicissimo, per averne il parere suo; il quale Filippo, che per le parole di Donato aspettava di vedere molto miglior cosa, come lo vide sorrise alquanto. Il che vedendo Donato, lo pregò, per quanta amicizia era fra loro, che gliene dicesse il parer suo; per che Filippo, che liberalissimo era, rispose che gli pareva che egli avesse messo in croce un contadino e non un corpo simile a Gesù Cristo, il quale fu delicatissimo, et in tutte le parti il più perfetto uomo che nascesse già mai. Udendosi mordere Donato, e più a dentro che non pensava, dove sperava essere lodato, rispose: “Se così facile fusse fare come giudicare, il mio Cristo ti parrebbe Cristo, e non un contadino: però piglia del legno e pruova a farne uno ancor tu”. Filippo, senza più farne parola, tornato a casa, senza che alcuno lo sapesse, mise mano a fare un Crucifisso, e cercando d'avanzare, per non condannar il proprio giudizio, Donato, lo condusse dopo molti mesi a somma perfezione. E ciò fatto, invitò una mattina Donato a desinar seco, e Donato accettò l'invito. E così, andando a casa di Filippo di compagnia, arrivati in Mercato Vecchio, Filippo comperò alcune cose, e datole a Donato, disse: “Aviati con queste cose a casa, e lì aspettami, che io ne vengo or ora”. Entrato dunque Donato in casa, giunto che fu in terreno, vide il Crucifisso di Filippo a un buon lume, e fermatosi a considerarlo, lo trovò così perfettamente finito, che vinto e tutto pieno di stupore, come fuor di sé, aperse le mani che tenevano il grembiule. Onde cascatogli l'uova, il formaggio e l'altre robe tutte, si versò e fracassò ogni cosa; ma non restando però di far le maraviglie e star come insensato, sopragiunto Filippo, ridendo disse: “Che disegno è il tuo, Donato? Che desinaremo noi avendo tu versato ogni cosa?”. “Io per me”, rispose Donato, “ho per istamani avuta la parte mia, se tu vuoi la tua, pigliatela. Ma non più, a te è conceduto fare i Cristi, et a me i contadini.

  

Autore

Marisa Cancilleri

 

 

 

 

 

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