Controlli? Pochi. "Manca il personale". Panchine divelte e acrobazie dei visitatori. «Mi ricordo tanti papaveri e la fontana piena di pesciolini, le bambine si divertivano a giocarci. A Boboli sono cresciute le mie figlie ed è il posto dove io e mio marito vorremmo invecchiare, passeggiando». E’ solo una delle segnalazioni di denuncia «dello stato di abbandono del giardino di Boboli» che sono arrivate in redazione. Siamo andati a vedere.
E abbiamo trovato, accedendo da via Romana, un parco molto lontano dalle cartoline mozzafiato per i turisti. Basta spostarsi di pochi metri dagli itinerari più gettonati per imbattersi in transenne, erbaccia, panchine divelte e turisti, che come sempre, fanno un po’ come gli pare. Pochi minuti dopo il nostro arrivo il primo ciak: in una manciata di secondi abbiamo immortalato i primi visitatori senza rispetto della storia e del valore artistico del posto. Un turista francese cerca di montare su una delle statue. Una coppia di fiorentini li rimprovera, sua moglie si scusa (la sequenza è sintetizzata nella foto in alto). Controlli? Nessuno. Almeno nel tempo della nostra passeggiata. Dagli uffici amministrativi spiegano che ci «sono tredici custodi per ogni turno a vigilare sui 32 ettari di verde storico disegnati secondo le geometrie del giardino all’ italiana, all’ ombra di oltre quattromila alberi. Troppo pochi per tenere a bada gli incivili di turno a caccia dello scatto originale da portare a casa o del ricordo da infilare in valigia. E purtroppo basta davvero un attimo di distrazione e il danno è servito.
Rammaricati, ma non affatto sorpresi — basta pensare a tutti i fermi immagine pubblicati da La Nazione in questi giorni — andiamo avanti alla scoperta dell’altro Boboli. Non è difficile imbattersi in statue con le mani mozzate o decapitate.
E ANCHE in tante transenne, attorno agli alberi o alle statue. Senza dimenticare gli interi prati, secondari, impacchettati e chiusi al pubblico con un cartello che vieta l’accesso ai non addetti ai lavori. Perché? Dagli uffici di Boboli dicono che in alcuni casi le recinzioni servono a proteggere le aree dove per esempio è stato creato un manto erboso nuovo: «Se la gente cammina sopra tutto il lavoro è perso».
Nella giungla di Boboli non mancano i cartelli di segnale pericolo. Davanti agli alberi, ai lampioni o alle statue: impossibile non inciamparci contro. Panchine divelte, in qualche caso distrutte, capolavori coperti da muschio e muffa completano il triste quadro.
«Diversi sedili — proseguono gli addetti — sono state usurati dal tempo. Agosto è un mese brutto per i lavori, siamo in pochi e molto personale è in ferie. A settembre interverremo».
Alla fine della nostra passeggiata la sorpresa più brutta: una giovane disabile esce disgustata dal bagno, quello proprio vicino al cosiddetto ingresso di Annalena in via Romana. Perché? Entriamo e vediamo ruggine dappertutto.
L’accoglienza di Firenze passa anche da questo.
Autore
Rossella Conte