D’Annunzio ha interpretato così quello che provò forse anche Michelangelo, che 500 anni fa si trovò ad affrontare lo scenario che si gli si apriva come un libro misterioso: il Sacro, la Tambura, la Pania, l’Altissimo, il Gabberi. Tutti nomi delle vette di quell’arco crestato di Apuane le cui “pieghe anfrattuose” potevano suggerire al Vate “frammenti fidiaci di pepli”, ma che per lo scultore rappresentavano una dannata sfida. Infatti, per obbedire a Leone X, si ritrovava a fare il cavatore e lo sterratore, obbligato a lasciare le sue consuete cave di Carrara e spostarsi verso Seravezza e Pietrasanta. Dal 1513 i Medici si erano annessi il Capitanato di Pietrasanta e circondario, staccandolo da Lucca, quindi il marmo se lo trovavano in casa, senza più pagarlo ai Duchi di Massa e Carrara che erano nell’orbita di quelli di Modena e Reggio. Nel 1517 Leone X aveva parecchie patate bollenti, dallo stacco di Martin Lutero alle Crociate contro i Turchi, ma non si dimenticava di essere un Medici, quindi commissionò all’artista concittadino un’opera prestigiosa che legasse il suo nome a lode e gloria di Firenze.